Dalla crisi finanziaria del 2008 qualcosa è cambiato. Ormai le politiche economiche non convenzionali sono nell’agenda delle banche centrali e dei governi e si discute apertamente di teorie che fino a tempo fa erano considerate tabù. Qualcosa è cambiato anche nell’insegnamento dell’economia. Gli economisti neoclassici cercano di inserire nei loro modelli frizioni ed elementi nuovi, seguendo (tardivamente) la lezione di Hyman Minsky. Il pensiero economico eterodosso è sempre meno considerato eretico ed è (un po’) più rispettato. Molti ormai criticano apertis verbis l’impostazione dominante in economia, il cosiddetto mainstream. Ed è giusto così. Ma cosa metteremo al posto del mainstream quando sarà morto di vecchiaia o malattia?

Pensare di sostituire all’attuale (ma già decrepito) mainstream un altro mainstream di segno opposto sarebbe non solo inopportuno, ma anche incoerente. Che senso avrebbero tutti gli alti lai di questi anni per la libertà di espressione e la pari dignità scientifica delle teorie economiche? Dove andrebbe a finire l’avversione al pensiero unico?

 

Intendiamoci, ognuno di noi ha un’ideologia. Lo ha ammesso anche l’ex governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan, uno dei maggiori esponenti di quella scuola economica che ama presentare il suo pensiero come la verità assoluta e tacciare chi la pensa diversamente di negazionismo economico (ci ritorneremo dopo). Il 23 ottobre del 2008, interrogato al Congresso, Greenspan diceva: “Tutti hanno un’ideologia. Devi averne una. Per esistere hai bisogno di un’ideologia. La domanda è se è accurata o meno”. Non possiamo fingere di essere sempre super partes e neutrali. È semplicemente impossibile, perché tutti (anche quelli che lo negano) hanno dei valori, qualcosa in cui credono. E se non credono in nulla, è quel “credere in nulla” il loro credo.

 

Ciò che deve ricordare chi ha a cuore il pluralismo e la battaglia delle idee è che le nostre ideologie possono essere diverse, conflittuali, radicalmente contrapposte, ma sono e restano ideologie. Non sono la verità. Il nostro obiettivo non può essere quello di fissare nell’iperuranio un mainstream al quale guardare con devozione. Il nostro obiettivo deve essere “pensare fuori dal modello“. Se proprio dobbiamo sostituire il mainstream, non dobbiamo sostituirgli un’ideologia opposta, ma un atteggiamento pluralista. Al “there is no alternative” va contrapposto un altro motto: “there are many alternatives”.

 

Ecco, questa è un’idea che davvero non piace ai mainstreamer più accaniti. Il fanatismo raggiunge vette inaspettate, tanto che alcuni accusano chi non la pensa come loro di “negazionismo economico“, come se in economia esistesse una teoria vera e incontrovertibile, che è un crimine negare o anche solo criticare. Notiamo l’uso non casuale del termine negazionismo, che richiama alla mente terribili orrori del passato. Certo, girano molte castronerie nel dibattito pubblico. Tuttavia, ciò non autorizza ad accusare i critici del pensiero dominante di “reati contro l’economia“, creando una sorta di psicopolizia orwelliana.

 

L’economia non è una scienza naturale, né evoluzionistica. È una scienza sociale. Proprio per questo può prosperare solo in un ambiente dove le idee circolano liberamente e dove ci si confronta senza paura di essere relegati in un ghetto intellettuale. Dobbiamo cercare di costruire una repubblica delle idee, dove si possa duellare intellettualmente, ma alla fine stringersi con rispetto la mano. Un esempio virtuoso di questo atteggiamento è il dibattito fra Emiliano Brancaccio e Olivier Blanchard. Ma anche il premio Nobel Paul Romer, sicuramente non un eretico, ha criticato i meccanismi arrugginiti della macroeconomia mainstream nel suo paper “The trouble with macroeconomics”.

 

Però, non dobbiamo neppure gettare il bambino con l’acqua sporca. L’economia per come è adesso non è da rottamare completamente. A proposito della crisi del 1929 Keynes diceva: “Si tratta solo di un meccanismo inceppato. Ma se abbiamo la batteria che non funziona, non è il caso di pensare per questo che l’automobile ha fatto il suo tempo e che bisogna tornare al tram a cavalli. Abbiamo solo la batteria che non funziona“. Lo stesso si può dire del pensiero economico. Non si tratta di tornare indietro, a paradigmi passati, ma di elaborare nuove idee e visioni della realtà. Insomma, il pluralismo deve diventare il nuovo mainstream.

 

L’autore è presidente di Rethinking Economics Bocconi Students