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PERCHÉ QUESTO ARTICOLO

 

Questo articolo nasce come critica costruttiva al lavoro svolto da Rethinking Economics Italia negli ultimi anni. Conoscemmo entrambi RE Italia nell’autunno del 2014, tramite la sezione della LUISS Guido Carli, dove studiavamo per la nostra laurea triennale. All’epoca RE Italia era una realtà molto giovane, e oltre all’associazione LUISS esistevano solamente tre o quattro sezioni locali.

 

Dopo aver partecipato attivamente all’associazione con varie iniziative e progetti, dall’estate del 2016 abbiamo rimesso i nostri incarichi e ridotto sostanzialmente il nostro coinvolgimento alle sue attività. La ragione è che abbiamo entrambi lasciato l’Italia per proseguire i nostri studi, l’uno specializzandosi in storia economica e l’altro in econometria. Abbiamo però continuato a seguirne sviluppi e attività, con interesse ma anche con spirito critico. Dopo un anno di osservazione distaccata desideriamo così esprimere alcune osservazioni su come si è evoluta e su come pensiamo potrebbe evolversi.

 

COSA È RETHINKING SECONDO LO STATUTO E LA QUESTIONE DEL PLURALISMO TEORICO

 

La missione di Rethinking Economics è espressa dal suo manifesto, che è basato su tre concetti chiave: pluralismo teorico, metodologico e interdisciplinare dell’insegnamento dell’economia. Il pluralismo teorico si riferisce all’importanza di esporre gli studenti a teorie diverse ed eterogenee, educandoli ad avere un approccio critico alla teoria economica. Il pluralismo metodologico richiede l’utilizzo di un vasto insieme di strumenti per condurre l’analisi economica. Il pluralismo interdisciplinare pone l’obiettivo di incentivare l’economia ad interagire con altri campi di ricerca.

 

Differentemente dalle scienze esatte, dove la teoria matematica è in grado di spiegare con eleganza i quesiti posti dagli scienziati alla natura, le scienze sociali provano a decifrare il comportamento umano. Sarà già chiaro al lettore che il determinismo del mondo naturale viene a scomparire nel mondo sociale. La teoria diventa un mezzo per catturare solo alcuni – parziali – aspetti della realtà. Da questo limite, intrinseco alle scienze sociali, nasce l’esigenza del pluralismo teorico. Pluralismo teorico che significa costante dibattito tra teorie che offrono risposte diverse a medesime domande. E così come in tutte le scienze, il dibattito non può essere scontro, ma una crescita di tutte le parti interessate.

 

In questo critichiamo l’attuale approccio di alcune componenti di Rethinking Economics. Troppo spesso, a nostro avviso, il pluralismo teorico viene dipinto come scontro bellico tra teoria mainstream e teorie eterodosse, accogliendo sotto il secondo cappello un ampio spettro di approcci scientifici che vanno dall’economia marxista a quella femminista, dal pensiero ecologista all’economia dei beni comuni, ma includendo anche l’economia sraffiana, e perfino l’analisi keynesiana. Si determina così un sistema epistemologico in cui vi è una frattura netta tra il campo dell’economia mainstream, di impianto neoclassico, e gli approcci alternativi.

 

Secondo gli interventi di alcuni soci, e l’impostazione di alcuni eventi organizzati da Rethinking, questo schieramento ricalcherebbe le tensioni sociali e i rapporti di forza della nostra epoca: la teoria mainstream sarebbe una costruzione astratta ad uso delle classi dominanti che funge da meccanismo retorico di controllo e soppressione delle classi subalterne. Le teorie eterodosse rappresenterebbero invece un pensiero resistente, che nella sua impostazione alternativa ribalta i rapporti di forza socialmente costituiti e smaschera la reale funzione repressiva della teoria dominante.

 

Noi non contrastiamo completamente questa riflessione, in quanto condividiamo l’idea che i sistemi concettuali siano anche un prodotto sociale, e come tali siano influenzati da interessi di diversa natura. Tuttavia, rifiutiamo fortemente lo schema dei due campi opposti. Crediamo infatti che riassumere decenni di ricerca in due macro-categorie – pensiero mainstream e pensiero eterodosso – sia un’offesa alla complessità e alla vivacità della teoria economica. Anzitutto perché la linea cosiddetta mainstream è ricca di sentieri alternativi, riflessioni rivoluzionarie e spunti critici, ed è molto meno compatta e serrata di quanto una semplice schematizzazione vorrebbe. Si potrebbe dire che non lo è abbastanza, ma questo sta al giudizio del singolo. Noi riteniamo però che nel pensiero alternativo non vi debba essere spazio solo per il pensiero massimalista, se si vuole condurre una riflessione aperta e fruttuosa.

 

Soprattutto, però, noi riteniamo questo approccio dialettico troppo confuso, perché privo di una prospettiva storica adeguata. La conseguenza logica del sistema a due campi, logica che non condividiamo, è che sia necessario che la teoria eterodossa si sostituisca a quella mainstream. Questa è tuttavia una tesi contraddittoria in partenza. La storia del pensiero, non solamente economico, ci dimostra che ad ogni svolta teorica rivoluzionaria si verifica la sostituzione del pensiero dominante con un altro sistema di pensiero.

 

Nei sistemi di pensiero le cui conclusioni sono empiricamente controllabili, come nel caso delle scienze esatte, la sostituzione del pensiero dominante è giustificata da un complesso processo scientifico. Nel pensiero economico – che, come detto, non è in grado di raggiungere conclusioni definitive sul proprio oggetto – la sostituzione può essere spiegata tanto da una maggiore precisione analitica del nuovo sistema, quanto da una sua maggiore capacità persuasiva, o da una sua migliore compatibilità con il sistema di valori e di forze della società. Il mainstream non è quindi un attributo di una certa corrente di pensiero, bensì una condizione transitoria che dipende da un complesso sistema di fattori.

 

Se il mainstream è una condizione, e non un’essenza, l’eventuale vittoria di una delle teorie che oggi riteniamo eterodosse – o di una loro improbabile sintesi – non comporterà altro che la sostituzione dell’impostazione neoclassica con una alternativa; un fenomeno che si verificherà ancora, ancora e ancora nei decenni a venire. Se Rethinking Economics è un movimento partigiano per la sovversione del re di turno, allora si potrà anche essere soddisfatti di un tale esito. Quando un nuovo sistema di pensiero dovesse affermarsi nella disciplina economica potremo gridare con soddisfazione “il re è morto, viva il re”, e ritirarci nella coltivazione della nuova realtà.

 

Noi non siamo d’accordo. Noi riteniamo che Rethinking Economics sia un atteggiamento critico irrinunciabile, non un impegno condizionale e transitorio. Noi riteniamo che Rethinking Economics sia un baluardo del pensiero alternativo, a prescindere da quale sia il pensiero dominante.

 

Pensiamo infatti che lo scopo di Rethinking Economics sia quello di salvaguardare e nutrire il dibattito dando spazio a tutte le voci, promuovendo l’interazione e quando possibile l’ibridazione dei pensieri. Ovviamente vi sono forme di pensiero indifendibili, che vanno contro i valori fondamentali dell’umanità e che non devono essere ammesse al confronto. Non siamo dei relativisti nichilisti. Riteniamo anzi che sia possibile giungere a un fondato discrimine tra approcci alternativi comparabili, ma sosteniamo la libertà che ciascuno persegua il proprio approccio preferito.

 

In breve, noi pensiamo che Rethinking Economics possa essere un movimento rivoluzionario nella misura in cui sia in grado di porsi a lato del dibattito scientifico, facendo da moderatore e da arbitro nel gioco del dibattito disciplinare. Se dovrà assumere una posizione partigiana sarà solo un altro gruppo di pressione, e non farà che giustificare quello stesso meccanismo che dovrebbe contrastare.

 

IL PLURALISMO METODOLOGICO E INTERDISCIPLINARE

 

Per quanto riguarda il pluralismo metodologico e quello interdisciplinare, è chiaramente necessario che l’economia debba essere capace di utilizzare un complesso insieme di strumenti, qualitativi e quantitativi, e che al tempo stesso debba essere in grado di interagire con altre scienze: sociali, naturali ed umane. L’insegnamento del pensiero economico e la sua pratica trarrebbe importanti spunti di riflessione dai diversi campi del sapere, e inoltre garantirebbe un controllo sulla deriva di onnicomprensività del pensiero economico. Tuttavia, nelle discussioni di Rethinking Economics – anche promosse da noi stessi – gli altri due pluralismi sono rimasti spesso sullo sfondo.

 

Ci sembra che due approcci siano anzitutto necessari: quello storico e quello filosofico. Per approccio storico intendiamo non la storia del pensiero, che è ampiamente e giustamente frequentata da Rethinking, bensì la storia dell’economia e dell’impresa. Da una parte perché – come argomentato tra gli altri da J.K. Galbraith – le teorie economiche nascono e si sviluppano in un contesto storico determinato, da cui sono necessariamente e almeno parzialmente influenzate. In secondo luogo perché la riflessione storica consente di illuminare in quali modi le teorie di volta in volta dominanti abbiano informato la discussione pubblica e le decisioni politiche, impattando sulla struttura economica e i meccanismi sociali.

 

Per approccio filosofico intendiamo invece la riflessione epistemologica sulla disciplina economica, anzitutto per approfondire i meccanismi con cui le diverse correnti di pensiero evolvono e i loro modi di approcciare il fenomeno economico si differenziano; ma anche per promuovere una meta-riflessione su Rethinking Economics stessa, sulla sua funzione e i suoi metodi, in modo simile – ma non necessariamente in accordo – con quanto abbiamo tentato nel paragrafo precedente.

 

D’altro canto crediamo che troppa poca attenzione sia stata dedicata da Rethinking Economics all’interazione tra economia e scienze esatte, in forma propositiva piuttosto che distruttiva. Un esempio fra tutti è l’interazione della didattica della scienza economica con la statistica e l’Ingegneria informatica. Le ultime scoperte in campo statistico e ingegneristico aprono infatti nuove frontiere anche per la scienza economica.

 

Si considerino ad esempio gli studi portati avanti al dipartimento di economia del MIT da alcuni ricercatori, tra cui Chernozhukov, per utilizzare metodi provenienti dal Machine Learning per l’inferenza statistica in campo econometrico. O si guardi il lavoro di ricerca di alcuni ingegneri al Max Plank Institute, a Cambridge, dove da anni stanno studiando come la teoria statistica possa essere in grado di individuare in maniera automatizzata la direzione di causalità tra due o più variabili, domanda chiave anche in campo economico.

 

La rivoluzione tecnologica e l’aumento impressionante di dati statistici a disposizione degli studiosi ha definito poi nuove figure professionali capaci di coniugare l’analisi sociale con competenze scientifiche. D’altro canto, l’attenzione superficiale dei curricula triennali e magistrali in Italia rispetto alla conoscenza dei linguaggi di programmazione, alla teoria statistica e probabilistica, nonché all’algebra e alla geometria, rappresenta una delle più grandi debolezze di un laureato in economia in Italia intenzionato a specializzarsi in questi settori.

 

UNA VIA ITALIANA A RETHINKING ECONOMICS

 

È importante riconoscere infatti che rispetto a Rethinking UK, Rethinking Italia si interfaccia con uno scenario didattico ben diverso rispetto ai nostri colleghi anglosassoni. I curricula dei corsi in economia e scienze sociali – soprattutto triennali – sono spesso costituiti da diversi esami di diritto, di contabilità e di management (comunque, ci teniamo a sottolinearlo, materie necessarie per una riflessione economica completa) insieme a uno, al massimo due esami di matematica e pochi più di micro e macroeconomia. In alcuni corsi troviamo un esame di storia del pensiero economico o storia economica ma in ancor meno troviamo esami di geometria, teoria econometrica o probabilità.

 

D’altronde, sarebbe impensabile che uno studente di economia sostenesse tanti esami tra loro così diversi. Di conseguenza crediamo che permettere che più esami siano elettivi, e potenzialmente eleggibili anche in altri dipartimenti, possa essere funzionale agli interessi del singolo studente, senza dover necessariamente richiedere alle università di attivare nuovi corsi. Ovviamente questo comporterebbe la rimodulazione dei piani di studio verso una loro maggiore flessibilità, e farebbe sorgere questioni sulla comparabilità dei titoli di studio e sull’equità dei diversi percorsi. Tuttavia, in un contesto accademico vincolato dalla disponibilità delle risorse ci sembra un approccio compatibile con le esigenze didattiche e amministrative. Sottolineiamo peraltro che questa soluzione riguarderebbe l’obiettivo del pluralismo metodologico e interdisciplinare, dovendo il pluralismo teorico passare necessariamente per una integrazione dei piani di studio.

 

Per quanto riguarda l’approccio di Rethinking Economics alla ricerca, vogliamo ribadire l’importanza di adattare le critiche allo scenario italiano. Se decidiamo di muovere proposte per la valutazione della ricerca dobbiamo tenere in considerazione che il metodo public or perish, con tutti i suoi evidenti limiti, rappresenta un’efficace risposta a certi meccanismi datati – spesso nepotistici – di selezione accademica che ancora resistono in alcune realtà, e una controproposta dovrebbe tenere in considerazione anche quest’aspetto. Certo è che i sistemi di valutazione dovrebbero aprirsi alle pubblicazioni a più mani, agli approcci interdisciplinari e a quelli alternativi. Un fenomeno che chiama in causa anche i comitati editoriali, ma che apre pure ad opportunità originali nel panorama delle pubblicazioni scientifiche: una sfida che Rethinking Economics, da qui a qualche anno, potrebbe anche voler cogliere.

 

Crediamo infatti che Rethinking Economics abbia un grande potenziale prima di tutto come piattaforma e network tra studenti e giovani ricercatori, mentre siamo più scettici sul suo ruolo “politico”. Molti dei soci originali oggi lavorano infatti in ministeri, organi di governo e istituzioni internazionali o stanno proseguendo i loro studi e svolgendo attività di ricerca in diverse università, in Italia e all’estero. L’eterogeneità dei soci che ne fanno parte è un patrimonio unico dell’associazione. Gli interessi di alcuni in campo filosofico e storico e di altri in campo microeconomico, macroeconomico o econometrico può dare vita ad ambiziose collaborazioni scientifiche e, perché no, editoriali.

 

È a questo scopo che inviamo il nostro breve contributo “dalla periferia”: per promuovere – con lo spirito critico che valorizza il nostro movimento – riflessioni, proposte, e dibattiti tra chi meglio di noi riesce a presidiare il territorio e valorizzarne le forze. Dal canto nostro rinnoviamo il sostegno a un movimento pluralista, non partigiano, illuminista, non totalitario, critico, non omologante. Speriamo che il nostro contributo sia accolto allo stesso modo. Buon ripensamento a tutti.

 

 

Andrea Ramazzotti

 

Davide Viviano

 

Andrea Ramazzotti è MPhil candidate in Economic and Social History all’Università di Oxford, dove è membro del St Antony’s College. È stato presidente della sezione di Rethinking Economics alla LUISS Guido Carli di Roma, dove ha conseguito la laurea triennale in Economia e Management.

 

Davide Viviano è PhD candidate in Economics a UC San Diego, dopo aver conseguito un MSc in Data Science alla BGSE e la laurea triennale in Economics alla LUISS Guido Carli di Roma. E’ stato membro del coordinamento nazionale di Rethinking Economics Italia per la sezione della LUISS Guido Carli.