In un quadro teorico così antitetico a quello di derivazione neoclassica, le indicazioni di policy dei post-keynesiani non possono che essere radicalmente opposte a quelle degli economisti mainstream. Secondo Sawyer (2003, p. 101), infatti, la politica economica post-keynesiana trova le proprie fondamenta non solo nella visione del funzionamento delle economie di mercato industrializzate di John Maynard Keynes (cf. Keynes 1930; 1936) ma anche in quella dell’economista polacco Michał Kalecki (cf. Kalecki 1954). Entrambi dimostrano con le proprie opere una profonda convinzione: un’economia di mercato non è in grado di raggiungere da sola il pieno impiego delle risorse perché il laissez-faire la lascerebbe in balìa di endemiche fluttuazioni del ciclo e crisi economiche.
Secondo i post-keynesiani, dunque, la ragione per cui un’economia di mercato fallisce nel raggiungere la piena occupazione non risiede in rigidità o imperfezioni della competizione monopolistica o nelle azioni dei sindacati ma, piuttosto, nell’incapacità del mercato di generare un livello di domanda aggregata consistente con quella necessaria per la piena occupazione (Sawyer 2003, p. 101). La distinzione rispetto alla Nuova Economia Keynesiana è dunque piuttosto netta. Come fa notare Andrea Terzi (2008, p. 614), “i due indirizzi restano divisi, talvolta in modo quasi incolmabile, sulle ricette per la crescita” perché secondo i neokeynesiani “è indispensabile accrescere il grado di concorrenza e flessibilità nel sistema, nel mercato dei prodotti come in quello del lavoro”, mentre per i post-keynesiani “restano essenziali la regolazione della domanda e dei redditi soprattutto attraverso la politica fiscale”.
In altre parole, l’indirizzo di politica economica dei post-keynesiani si basa essenzialmente sullo stimolare il livello della domanda aggregata ed in questo la politica fiscale ricopre un ruolo centrale. Non mancano importanti indicazioni di policy che riguardano, ad esempio, anche la distribuzione del reddito e la politica monetaria, ma la spesa pubblica ha il vantaggio di influenzare direttamente il livello della domanda aggregata. Come riassume efficacemente Tcherneva (2008 p. 27-8), per la maggior parte dei post-keynesiani l’obiettivo è colmare il gap di domanda nel sistema economico, ossia la differenza tra produzione effettiva e potenziale, ma questo gap non è lo stesso a cui si riferiscono gli economisti mainstream: “per questi ultimi, l’output potenziale è quello che si raggiunge con prezzi e salari perfettamente flessibili” mentre per i post-keynesiani è “una misura del pieno impiego, dove la disoccupazione involontaria di tipo keynesiano è stata rimossa”.
L’approccio post-keynesiano alla politica di bilancio viene descritto efficacemente da Sawyer (2003, p. 101-102) partendo dalla nota identità contabile:
(S – I) = (X – M) + (G – T)
Dove (S – I) rappresenta il surplus del settore privato, (X – M) il surplus commerciale e (G – T) il deficit pubblico. In altre parole, il “saldo privato” viene compensato a destra dalla somma del “saldo estero” e del “saldo pubblico”. Quello che l’equazione rende palese è che la spesa in un settore corrisponde ad un’entrata per un altro settore, così come ciò che appare come spesa netta, o deficit di bilancio, per un settore rappresenta un risparmio netto positivo, o surplus finanziario per un altro. Supponendo, ad esempio, di partire da un livello di reddito compatibile con la piena occupazione, un eccesso di risparmi rispetto agli investimenti richiederà un ribilanciamento del settore pubblico (e/o del settore estero) per mantenere il pieno impiego. Incrementare il deficit pubblico aiuterà quindi a sostenere la piena occupazione e proprio l’eccesso di risparmi aiuterà a finanziarlo. Inoltre, come anticipato, i post-keynesiani non condividono la nozione neoclassica di tasso di crescita naturale supply-determined e, al contrario, sono convinti che shock della domanda aggregata abbiano effetti permanenti sull’economia. La politica fiscale, di conseguenza, è efficace anche nell’incrementare l’output potenziale (Fazzari, 1994-95, p. 233).
La visione post-keynesiana della politica fiscale è dunque radicalmente diversa da quella oggi dominante. Si pensi che subito dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 si è avuto quello che Mario Seccareccia (2012) ha chiamato new fiscalism, ossia un intervento discrezionale dei governi motivato dal fatto che la politica monetaria aveva raggiunto lo zero lower bound ma, già dal 2010, si è assistito ad una rapida e generalizzata inversione di marcia all’insegna dell’austerità dovuta alla convinzione che i bassi tassi di interesse sarebbero cresciuti nuovamente nel medio periodo (Lavoie 2002, p. 341). Una visione coerente con gli schemi teorici mainstream ma del tutto irrazionale dal punto di vista degli economisti post-keynesiani. Questi ultimi, che rifiutano la concezione neoclassica di tasso di interesse naturale, non avrebbero condiviso tali timori e non avrebbero applicato le misure di austerità che sono state attuate in molti dei paesi colpiti dalla crisi. La teoria post-keynesiana avrebbe scritto tutta un’altra storia. Esistono oggi diverse prove di revisione dei modelli economici mainstream nel tentativo di incorporare al meglio gli insegnamenti di Keynes ma – a parere di chi scrive – questi tentativi non sono ancora del tutto sufficienti perché la teoria economica dominante affonda le sue radici più profonde in invadenti e controverse teorie neoclassiche e finisce inevitabilmente per limitare l’intervento pubblico (cf. Viscione 2018). Come sostiene infatti Graziani (2001, p. 461), è proprio la tradizione post-keynesiana quella rimasta negli anni “fedele al pensiero di Keynes nella sua formulazione più autentica”.
Fonti
Graziani A., Teoria economica: macroeconomia, V Ed., Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2001.
Fazzari S. M., “Why doubt the effectiveness of Keynesian fiscal policy?”, Journal of Post Keynesian Economics, 17 (2) Winter, 231-48, 1994-95.
Kalecki M., Theory of Economic Dynamics. An Essay on Cyclical and Long-Run Changes in Capitalist Economy. London, Allen & Unwin Ltd, 1954.
Keynes J. M., A treatise on money, New York, Harcourt, Brace and company, 1930.
Keynes J. M., The General Theory of Employment, Interest and Money, London, Macmillan, 1936.
Lavoie M., Post-Keynesian Economics: New Foundations, Edward Elgar, Cheltenham, Uk, Northampton, MA, USA, 2014.
Nevile J. W., “Fiscal Policy”, in The Elgar companion to post Keynesian economics, edited by J.E. King, Cheltenham, UK | Northampton, MA, Edward Elgar, 2003.
Sawyer M., “Economic Policy”, in The Elgar companion to post Keynesian economics, edited by J.E. King, Cheltenham, UK | Northampton, MA, Edward Elgar, 2003.
Seccareccia M., “Understanding fiscal policy and the new fiscalism”, International Journal of Political Economy, 41 (2), Summer, 2012, pp. 61-81.
Tcherneva P. R., “The Return of Fiscal Policy: Can the New Developments in the New Economic Consensus Be Reconciled with the Post-Keynesian View?” Economics Working Paper Archive, wp_539, Levy Economics Institute, 2008.
Terzi A., “John Maynard Keynes”, Nuova Informazione Bibliografica, anno V, n. 4 / Ottobre-Dicembre 2008, pp. 591-616.
Viscione A., “Il pensiero economico dominante scopre la politica fiscale?”, Economia e Politica, anno X, n. 16, sem. 2, 2018.
Angelantonio Viscione, Ph.D. in Economia Politica, è Consulente protezione sociale INPS. Ha lavorato come assegnista di ricerca all’Università del Sannio (BN) e come collaboratore presso il consorzio Promos Ricerche (NA). All’Università del Sannio ha avuto anche contratti di didattica integrativa in Fondamenti di Economia Politica e in Economia del Lavoro. Dal 2015 fa parte della segreteria organizzativa della rivista scientifica Economia e Politica. I suoi articoli e le sue pubblicazioni sono sul suo blog: angelantonioviscione.blogspot.com. Le opinioni espresse dall’autore non rappresentano necessariamente la posizione dell’istituto di appartenenza.