cartamoneta

 

 

Teoria nominalista della moneta-credito. Valore astratto, credito e Stato

 

Nel senso pieno del termine [la moneta] può esistere soltanto in relazione alla moneta di conto. 

Keynes, 1930

 

Le radici della teoria nominalista della moneta risiedono nei contributi teorici degli economisti inglesi del XVII e XVIII secolo, della scuola storica tedesca e della teoria statale della moneta del XIX secolo. Venendo ai tempi più recenti, un notevole influenza sulla concezione eterodossa della moneta è arrivata dalle teorie keynesiane, circuitiste e neocartaliste del XX secolo.

Sono quattro i temi fondamentali che uniscono le diverse tradizioni eterodosse, sebbene, riconosce giustamente Ingham (2016), «raramente sono integrati in una sola opera e, naturalmente, ci sono innumerevoli ambiguità e, a volte, contraddizioni.»

 

In primo luogo, secondo la teoria nominalista la moneta è essenzialmente una misura astratta del valore e mezzo di immagazzinaggio e trasporto di questo valore astratto. Tutte le altre funzioni – mezzo di scambio, mezzo di pagamento e riserva di valore – sono riconducibili alle prime due. Dunque, come visto nella prima parte dell’articolo, «la moneta di conto è logicamente anteriore a qualsiasi altra forma di moneta». La moneta può assumere innumerevoli forme. Ciò nondimeno, non va dimenticato che «il carattere di moneta è assegnato dalla moneta di conto e non dalla forma di moneta». Quindi si può dire che il valore astratto si materializza nella moneta la quale agisce come mezzo di immagazzinaggio e trasporto.

 

In secondo luogo, la moneta consiste essenzialmente in un titolo o credito. Il suo valorenon deriva dalla merce che costituisce la sostanza-moneta; la forma-merce è di secondaria importanza. Ciò che è importante è capire che la moneta rappresenta un potere d’acquisto astratto; un titolo, appunto, attraverso cui il portatore è in grado di estinguere qualsiasi contratto-debito e contratto-prezzo, poiché, come scrive Keynes, «i debiti e i prezzi devono prima esser stati espressi in termini [della moneta di conto]» (Keynes, 1930, cit. in Ingham, 2016). Ciò consente di spiegare la funzione della moneta come riserva di valore, dal momento che si tratta «di un movimento del valore astratto nel tempo reale» (Ingham, 2016). Per quale motivo? Come spiega lucidamente Keynes, «il desiderio di conservare la moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia verso i nostri calcoli e le convinzioni che riguardano il futuro […]. Il possesso materiale di moneta acquieta la nostra inquietudine» (Keynes, 1936).

 

Il terzo tema che unisce le teorie eterodosse della moneta ha a che fare con la produzione della moneta ed il ruolo dello Stato nei riguardi della moneta. Data l’impossibilità logica, oltre che l’incongruenza storica, dell’assunzione secondo cui la moneta è frutto della razionalità economica degli individui volta a superare le inefficienze del baratto, la teoria nominalista è spinta ad affermare che la moneta di conto è logicamente antecedente e storicamente precedente al mercato e alla forma-merce. Nella prima parte dell’articolo avevamo lasciato in sospeso la questione che riguarda da dove nasce e cosa determina il valore astratto della moneta di conto, se non è lo scambio come assume la teoria metallista. La risposta va cercata nell’autorità preposta alla sua creazione, ossia lo Stato. Lo Stato, o un’autorità di altro tipo, è una precondizione fondamentale per l’esistenza della moneta, in quanto sancisce la moneta di conto astratta e il mezzo di pagamento autorizzato a rappresentarla. Soltanto un’autorità può superare l’anarchia del baratto e imporre una moneta di conto e una misura di valore che sia uniforme e stabile.

 

Dal secondo e terzo punto si evince che «la moneta è una relazione sociale di credito e debito denominato in moneta di conto» (Ingham, 2016; Tcherneva, 2016). Infatti, la moneta è credito per l’utilizzatore perché è debito (passività) per l’emittente. Scrive Ingham, “è impossibile creare moneta senza creare simultaneamente debito”. La validità della moneta è attribuita dalla promessa dell’emittente di accettarla indietro in pagamento del debito con lui contratto. Come sostiene Knapp (1842-1926), «dichiarando cosa accetterà per l’estinzione di un debito fiscale [la tassazione, nda], misurato dall’unità di conto agli uffici della riscossione pubblica, lo Stato crea moneta». Lo Stato non è l’unico emittente di moneta, dal momento che anche le banche creano moneta attraverso i prestiti. Tuttavia, è «l’accettazione dello Stato che è decisiva» (Knapp, cit. in Ingham, 2016). Questo punto è condiviso anche dalla teoria neocartalista della Modern Money Theory (MMT). Secondo Wray, “il potere chiave dello Stato è la sua capacità di imporre le tasse […] e di nominare cosa sarà accettato per il [suo] pagamento” (Wray, 2014). Lo Stato, di fatti, esercita un potere coercitivo per la sua riscossione e punisce severamente l’evasione e la contraffazione.

 

Ricapitolando, la tassazione ha il compito di imporre la valuta; l’accettazione da parte dello stato dei mezzi di pagamento per le tasse quello di dare validità alla valuta. E per quanto riguarda il valore? Ricordiamo che per l’analisi ortodossa il valore della moneta è dato dal valore del mezzo di scambio, quindi dal valore del metallo prezioso, a sua volta determinato, nel breve periodo, dalla domanda e dall’offerta, mentre, nel lungo termine, dai costi di produzione. Sul versante eterodosso, Ingham riconosce il merito al sociologo Max Weber di aver posto la chiara distinzione tra validità e valore della moneta. «Fintanto che sia moneta», il suo valore dipenderà da un conflitto di interessi; sono questi «più che le “idee” dell’amministrazione economica a governare il mondo» (Weber, cit. in Ingham, 2016). In poche parole, Ingham porta all’attenzione le forze sociali coinvolte nel sistema economico affermando che «i mutamenti negli equilibri di potere tra capitale e lavoro e tra produttori e consumatori influenzano il potere d’acquisto della moneta». Il sociologo di Cambridge si spinge addirittura oltre, dichiarando che «storicamente, il conflitto tra creditori e debitori è forse l’esempio più significativo di lotta di classe».

 

Infine, la teoria nominalista esclude a priori il principio di neutralità della moneta. Quest’ultima, piuttosto, gioca un ruolo fondamentale nel determinare il livello della produzione e del reddito. Ciò è dovuto dall’incertezza legata alle aspettative di reddito futuro che domina nei mercati e che accresce la “preferenza di liquidità”  da parte degli individui, ossia la domanda di moneta in forma liquida. Maggiore è l’incertezza, maggiore sono i risparmi, minore la spesa complessiva nell’economia e quindi la domanda aggregata, la produzione e il reddito, maggiore sarà l’ulteriore desiderio di risparmio degli individui. Trattasi questo del “paradosso del risparmio”, ovvero la contraddizione peculiare del capitalismo comprensibile esclusivamente con il riconoscimento del carattere monetario dell’economia capitalista e della creazione della moneta-credito da parte delle banche.

 

A questo punto l’autore è in grado di rispondere alle tre domande che secondo lui ogni teoria monetaria dovrebbe porsi: che cosa fa la moneta; o che cos’è la moneta? Come viene prodotta; o come entra nella società? Come si determina il valore della moneta?

 

In sintesi, dalla ricostruzione di Ingham della teoria nominalista si evince che la moneta è una relazione sociale di credito e debito denominata in moneta di conto (cfr. Tcherneva, 2016). La moneta è altresì un titolo o un credito verso l’emittente: sovrano, Stato o banca. Per poter circolare deve essere prodotta e per poter essere prodotta deve essere in grado di estinguere qualsiasi tipo di debito, il più importante dei quali è il debito fiscale, o tassazione. Uno Stato crea moneta attraverso la spesa pubblica; la distrugge attraverso le tasse. Lo Stato non è l’unica autorità nel sistema economico in grado di emettere moneta; anche le banche creano moneta-credito. Tuttavia, è la promessa dello Stato di accettarla come mezzo di pagamento per le tasse che conferisce validità, creando allo stesso tempo domanda, di moneta. Il valore della moneta non va individuato nel valore della sostanza merce che la costituisce, ad esempio il metallo prezioso, come sostiene la teoria mainstream, ma è dato dall’equilibrio delle forze sociali interne al sistema economico.

 

Per concludere, chi scrive pensa che un’accurata conoscenza della natura della moneta sia una precondizione fondamentale alla comprensione dell’intero sistema economico. Conoscere la natura della moneta consente di capire le basi su cui prende forma l’economia di mercato; l’evoluzione del sistema capitalistico caratterizzata dalle innovazioni monetarie unitamente alle trasformazioni nelle relazioni sociali; il ruolo all’interno della società delle istituzioni preposte alla sua emissione: lo Stato e le banche; le cause sottostanti alle fluttuazioni del ciclo economico e i periodi di prolungata stagnazione. Consente inoltre di comprendere gli spazi di politica economica che possiedono gli Stati per perseguire obiettivi di benessere generale, come occupazione ed equità.

 

La scarsa trattazione che i programmi universitari riservano alla natura della moneta è forse sufficiente a spiegare le ragioni per cui vige una tale confusione in materia, in ambito accademico oltre che mediatico, e, dopo quasi otto anni di stagnazione economica, una non chiara comprensione del funzionamento del sistema economico da parte delle autorità che determinano l’indirizzo politico. Paolo Leon definiva gli stati dei “poteri ignoranti” che agiscono “sulla base della cultura di chi li governa, e questa è ormai resa ottusa dall’ideologia del libero mercato” (Lunghini, il manifesto, 2016).

 

In conclusione, un’accurata conoscenza della natura della moneta rende ancor più consapevoli della necessità di ripensare l’economia, a partire dai programmi universitari, per formare oggi i dirigenti che si occuperanno dei problemi di domani.

 

 

Bibliografia

 

Ingham, G. 2016. La natura della moneta. Fazi Editore.

 

Keynes, J. M. 1930. A Treatise on Money. New York. Harcourt, Brace and company.

 

Keynes, J.M. 1936. The General Theory of Employment, Interest and Money, trad. it. La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, 2013.

 

Minsky, H. P. 1987. Securitization, Handout Econ 335A, Fall, mimeo, in Levy archives, published as Policy Note, 2008/2, Levy Economics Institute

 

Tcherneva, P. 2016. Money, Power, and Monetary Regimes. Levy Economics Institute, Working Paper No. 861

 

Wray, R. 2009. The rise and fall of money manager capitalism: a Minskian approach. Cambridge of Journal Economics 2009, 33, 807-828.

 

Wray, R. 2014. From the State Theory of Money to Modern Money Theory: An Alternative to Economic Orthodoxy. Levy Economics Institute, Working Paper No. 792.

 

Lunghini, G. 2016, http://ilmanifesto.info/paolo-leon-e-i-poteri-ignoranti/

Di Enrico Turco

Studente del Master in Economics presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.