Dopo aver introdotto nel precedente articolo i concetti di ciclo economico e distribuzione del reddito nel pensiero post-keynesiano, in questo terzo appuntamento ci si sofferma brevemente sulla teoria dell’inflazione e sul noto principio della domanda effettiva.

 

La teoria dell’inflazione post-keynesiana è piuttosto eclettica rispetto a quella degli economisti ortodossi (Smithin J. 2003, p. 186). La ragione di tutto ciò risiede in una lettura più realistica del processo di creazione del credito: la teoria della moneta endogena.

 

Questo quadro teorico implica che qualunque fattore in grado di incrementare i costi monetari può causare un aumento nel livello generale dei prezzi, dato che le imprese incrementano a loro volta la domanda di moneta verso il sistema bancario per far fronte ai maggiori oneri. L’economia ortodossa, al contrario, tende a considerare solo aumenti di prezzi relativi perché, data una offerta di moneta fissa, un aumento del costo di un fattore sarebbe – nel loro schema teorico – controbilanciato da una caduta di un altro. La spina dorsale della visione ortodossa risiede comunque nella già citata equazione degli scambi di Fisher e, seppur con diverse varianti, lega l’aumento dei prezzi a quello dell’offerta di moneta. Una visione mono-causale dell’inflazione che, unita al fatto che lo strumento di politica monetaria è solitamente la manipolazione del tasso di interesse, ha spinto i banchieri centrali a ricondurre il fenomeno allo scarto tra tasso di interesse “naturale” e tasso di interesse fissato dalle autorità (Smithin J. 2003, p. 187). Se il tasso fissato dalla banca centrale è inferiore a quello teorico, il sistema bancario viene incentivato a prendere moneta a prestito facendo crescere la quantità di moneta presente nel sistema economico producendo inflazione. L’eguaglianza garantirebbe produzione e disoccupazione ai propri livelli “naturali” e stabilità dei prezzi. È questo che giustifica l’adozione di regole di comportamento simili alla Regola di Taylor (1993). Una visione dell’inflazione ancora limitata e che riconduce i fenomeni macroeconomici al raggiungimento di un equilibrio naturale.

 

Secondo Joan Robinson (1979, p. xix), invece, una delle più importanti intuizioni della rivoluzione guidata dal suo maestro fu proprio collegare il livello generale dei prezzi al livello generale dei costi che, a sua volta, dipende soprattutto dalla relazione tra tasso di crescita dei salari monetari e produttività (output per unità di lavoro). In formula (Weintraub 1978, p. 45):

 

p = kw/y

 

dove p è l’inflazione, w è il tasso di crescita medio dei salari nominali, a è la produttività media del lavoro e k è il mark-up o profit share. Il livello generale dei prezzi, dunque, cresce se aumentano i salari nominali e/o il mark-up oppure se si riduce la produttività. Assumendo un mark-up costante, la teoria dell’inflazione della Robinson riconduce la crescita dei prezzi principalmente ad un incremento dei salari nominali superiore a quello della produttività.

 

Come anticipato, la teoria postkeynesiana sull’inflazione è piuttosto eclettica. I seguaci dell’economista di Cambridge non negano infatti anche l’esistenza dell’inflazione da domanda. Keynes la chiama true inflation e, a differenza dell’inflazione da domanda della teoria ortodossa, si tratta di un concetto slegato da qualunque nozione di tasso naturale di disoccupazione. In questo caso, “l’inflazione è provocata da continui aumenti nella domanda dopo aver raggiunto qualche putativa situazione di pieno impiego” dove, si badi bene, per pieno impiego si intende una “misura genuina dell’utilizzazione della capacità produttiva” (Smithin J. 2003, p. 190).

 

Il rifiuto della concezione neoclassica di tasso “naturale” e la nozione di moneta endogena sono dunque al centro della teoria post-keynesiana dell’inflazione. Sullo sfondo di questa e delle altre teorie prodotte dagli economisti post-keynesiani domina chiaramente il principio della domanda effettiva (King 2013, p. 486). Secondo questo principio, “il livello dell’attività economica – ossia reddito nominale aggregato ed occupazione – è determinato dal livello della domanda effettiva che, a sua volta, è determinato dalla congiunzione delle condizioni di domanda e offerta aggregate. Le condizioni della domanda aggregata giocano un ruolo di primo piano in questa relazione” (Setterfield 2003, pp. 105-106).

 
 

Fonti

 

Robinson J., “Foreword”, in A. S. Eichner (ed.), A Guide to Post Keynesian Economics, White Plains, NY: M. E. Sharpe, 1979, pp. xi-xxi.
Setterfield M., “Effective Demand” in The Elgar companion to post Keynesian economics, edited by J.E. King, Cheltenham, UK | Northampton, MA, Edward Elgar, 2003.

 

Smithin J., “Inflation”, in The Elgar companion to post Keynesian economics, edited by J.E. King, Cheltenham, UK | Northampton, MA, Edward Elgar, 2003.

 

Taylor J. B., “Discretion versus Policy Rules in Practice” (PDF). Carnegie-Rochester Conference Series on Public Policy. 1993, pp. 195–214.

 

Weintraub S., Capitalism’s Inflation and Unemployment Crisis, Reading, M. A.: Addison-Wesley, 1978.

Di Angelantonio Viscione

Angelantonio Viscione, Ph.D. in Economia Politica, è Consulente protezione sociale INPS. Ha lavorato come assegnista di ricerca all'Università del Sannio (BN) e come collaboratore presso il consorzio Promos Ricerche (NA). All'Università del Sannio ha avuto anche contratti di didattica integrativa in Fondamenti di Economia Politica e in Economia del Lavoro. Dal 2015 fa parte della segreteria organizzativa della rivista scientifica Economia e Politica. I suoi articoli e le sue pubblicazioni sono sul suo blog . Le opinioni espresse dall'autore non rappresentano necessariamente la posizione dell'istituto di appartenenza.