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Introduzione

Rethinking Economics si pone come obiettivo il ripensamento dell’insegnamento dell’economia nelle università di tutto il mondo. Eppure uno tra i sistemi di educazione superiore considerato tra i migliori e che vanta affiliazione con 45 premi Nobel dell’economia potrebbe arrivare a crollare sotto il suo stesso peso.

 

Il sistema educativo degli Stati Uniti si divide essenzialmente in due parti: “education” (o K-12) e “higher education”. Dopo aver completato la scuola superiore, i giovani americani possono decidere se lanciarsi direttamente nel mondo del lavoro o se affinare i loro interessi e abilità, andando a frequentare una “vocational school” o un college. La prima darà loro un “associate degree”, mentre il college, dopo quattro (in alcuni casi due, ma sono rari) anni rilascerà un attestato, il “bachelor’s degree”, di fatti equivalente alla nostra laurea triennale. Al termine del quarto anno si potrà decidere se continuare gli studi specializzandosi in una certa area, fino ad arrivare al post-doc.

 

La figura 1 qui sotto dà un’idea del percorso affrontato dai ragazzi statunitensi.

 

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Figura 1 – Il sistema educativo statunitense (fonte: U.S. Department of Education, National Center for Education Statistics)

 

L’articolo si concentrerà in particolar modo sul sistema educativo negli “undergraduate programs” per tre motivi: in primo luogo perché è il programma di studi sul quale anche Rethinking Economics si concentra; in secondo luogo perché è un sistema abbastanza omogeneo – al contrario dei livelli superiori, la cui pletora di specializzazioni non permetterebbe un’analisi comparativa onesta; infine perché – ed è importante notarlo – a differenza del K-12, lo Stato non sovvenziona direttamente l’educazione superiore, e agisce tramite prestiti o concessioni finanziarie (“grants”).

 

È proprio quest’ultimo particolare a rendere il costo dell’educazione negli Stati Uniti significativamente superiore al resto del mondo, in particolare l’Europa. Negli ultimi anni, infatti, il costo dell’educazione si è spostato sempre di più verso gli studenti, scatenando una reazione a catena che sarà analizzata nel resto di questo breve saggio.

 

Esistono in realtà anche altre cause che spiegano l’elevato costo del college negli USA. Una prima, controversa ipotesi, quella della bolla dell’educazione superiore, sottolinea come l’educazione non sia un bene tangibile e non può essere rivenduto come le case o i titoli finanziari – non c’è dunque modo di far scoppiare la bolla. Questa visione è molto criticata da chi sostiene che la bolla sia in realtà già scoppiata e che tale scoppio corrisponde – paradossalmente – a un’altra bolla, quella del debito accumulato dagli studenti.

 

Una seconda visione mette sul banco degli imputati il sistema di prestiti verso gli studenti, combinato con la mancanza di protezione verso il consumatore. Un esempio lampante è la cancellazione della possibilità per gli studenti di dichiarare bancarotta. Ciò non solo facilita l’accesso al credito, ma rende anche più imprudenti gli ignari giovani, convinti che non potranno fallire. Il risultato è ovvio: una sempre maggiore quantità di ragazzi entra in possesso di credito non garantito, indebitandosi. Oggi come oggi, dopo quattro anni di università, un neo-laureato ne uscirà in media con $26,000 dollari di debito [1] e opportunità lavorative sempre più ristrette.

 

In realtà, è abbastanza evidente che tutte queste cause non sono separate, ma abbiano avuto un effetto combinato. Ecco perché è importante capire come i diversi fattori economici e politici e il sistema educativo si collegano tra di loro, per poter essere in grado di intraprendere nuove vie. A tal proposito, il saggio si articolerà in tre parti: nella prima parte si compareranno il reddito e i costi educativi e se ne analizzeranno le discrepanze; nella seconda parte si prenderà in esame il sistema dei prestiti e la sua correlazione con altri indicatori economici; infine, nella terza parte si discuteranno eventuali collegamenti politici.

 

Reddito mediano e costi medi dell’educazione

L’analisi sui costi dell’educazione negli Stati Uniti verterà su un arco di tempo di 25 anni, dal 1987 al 2012. La scelta di questi anni è dettata sia dalla necessità, poiché dati comprensivi più recenti sono difficili da trovare, sia dalla comodità, in quanto si ritiene 25 anni un arco di tempo sufficiente per evidenziare differenze significative.
Nel 1987, il reddito familiare mediano,[2] cioè quello che divide la distribuzione del reddito in due gruppi uguali, metà dei quali stanno al di sotto dell’ammontare e metà al di sopra, era di $24,187 ($50,389 del 2012[3]); nel 2012 era $51,017. Ciò significa che in termini reali il reddito mediano di una famiglia statunitense è aumentato solo dell’1.25%. Confrontato con il reddito pre-crisi del 2007 ($55,627), il reddito familiare del 2012 registra una flessione dell’8.3%. È, questa, un’eredità grave della crisi finanziaria del 2008, che ancora oggi va a colpire i redditi reali dei cittadini statunitensi e il loro conseguente potere d’acquisto.

 

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Grafico 1 – Redditi familiari reali in dollari del 2012, 1985-2012 (fonte: Economic Research Federal Reserve Bank of St. Louis)

 

I costi dell’educazione, invece, non hanno seguito pari passu l’andamento economico. Nel 1987 la retta universitaria media[4] di un college di quattro anni era $3,042 ($6,224), corrispondente al 12.58% del reddito familiare mediano. Nel 2012 era di $13,608, ossia il 26.7% del reddito (tale percentuale arriva fino al 45.2% se si considerano i costi – qui esclusi – di vitto e alloggio). In termini nominali, le tasse universitarie sono aumentate del 347.3% (118.6% in termini reali).

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Grafico 2 – Andamento del costo delle rette universitarie, 1969-2012 (fonte: Digest of Education Statistics, 2012)

 

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Grafico 3 – Percentuale di reddito spesa per l’educazione superiore, 1969-2012 (fonte: politicalcalculations.blogspot.ca)

 

È chiaro che esiste un grande gap tra l’aumento delle rette universitarie e quello del reddito familiare. Il grafico 3 combina i grafici 1 e 2, mostrando come esistano tre periodi in cui la bolla dell’educazione superiore si sia accentuata più che altrove: 1990-1993, 2000-2003 e 2007-2012. Non è una coincidenza che queste tre aree coprano periodi di recessione economica e si sovrappongano parzialmente alle aree colorate nel grafico 1.

 

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Grafico 4 – Reddito familiare mediano e costo medio delle rette universitarie a confronto, 1969-2012 (fonte: politicalcalculations.blogspot.ca)

 

Il quarto grafico, infine, evidenzia questi periodi inflazionistici relazionandoli non più al periodo, ma al reddito familiare mediano per periodo. Nei tre triangoli evidenziati, la base corrisponde a una rapida ascesa del costo universitario, rapportato al reddito. Ciò significa, non solo come semplicemente detto prima, che i costi della higher education non vanno di pari passo con gli indici macroeconomici, ma anche che tali costi, non influenzati dai periodi di recessione, addirittura prosperano in tempi cattivi.

 

In periodi di tempesta economica, infatti, un buon numero di lavoratori viene licenziato e i giovani si vedono costretti a volgere lo sguardo verso il sistema educativo, in mancanza di sbocchi lavorativi. Ciò comporta un aumento nel numero di iscritti, nelle concessioni statali e dunque anche nelle rette universitarie (quando la domanda di educazione si alza, le università aumentano i prezzi per riequilibrarsi con l’offerta).

 

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Grafico 5 – Tasso di disoccupazione giovanile, 2000-2014 (fonte: U.S. Bureau of Labor Statistics)

 

Un comportamento analogo si registra in particolar modo in due occasioni, entrambe durante crisi economiche. La prima, nel 2002, al culmine della bolla del dotcom, con un boom di iscritti del +6.69% rispetto all’anno precedente, e la seconda nel 2009, in piena tempesta finanziaria, con il +7.07%, a fronte di un aumento medio dell’1.82% in venticinque anni. I cerchi rossi nel grafico 6 individuano i due periodi di forte aumento nelle iscrizioni universitarie appena descritti.

 

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Grafico 6 – Numero di iscritti universitari, 1970-2012 (fonte: Current Population Survey census.gov)

 

L’andamento appena descritto, d’altronde, non è una novità. Già nel 2009 Damon Clark aveva analizzato qualcosa di simile in uno studio sulla relazione tra disoccupazione giovanile e iscrizioni universitarie in alcune regioni britanniche.[5] Ciò che è importante notare è che educazione e lavoro, ristagno produttivo e sviluppo educativo sembrano essere due facce della stessa medaglia.

 

Un ultimo appunto sul rapporto tra l’andamento dei costi universitari e indicatori macroeconomici riguarda il CPI, l’indice dei prezzi al consumo, ossia l’andamento del tasso di inflazione.

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Grafico 7 – Andamento del costo delle rette universitarie e dell’indice dei prezzi al consumo, 1987-2012 (fonte: Digest of Education Statistics, 2012 e inflationdata.com)

 

Ponendo 100 come indice base di entrambi i fattori nel 1987, si nota come in venticinque anni, mentre il CPI è aumentato di 98 punti base, il costo delle rette universitarie è aumentato di oltre 325 punti base. Più in particolare, il grafico 8 qui sotto esplora la variazione nell’andamento tra i due. Solo in un caso, durante l’anno accademico 1990-91, i costi del college si sono avvicinati al tasso di inflazione in maniera significativa, registrando una differenza di appena 0.1 punti base. Nel resto degli anni, e in particolare in quelli di ristagno, la differenza tra i due indici è sempre stata piuttosto alta, aumentando gli indizi a favore della bolla inflazionistica dell’educazione superiore americana.
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Grafico 8 – Variazione annua del costo delle rette universitarie e dell’indice dei prezzi al consumo, 1988-2012 (fonte: Digest of Education Statistics, 2012 e inflationdata.com)

 

Tuttavia, la bolla ha bisogno di un altro elemento per diventare tale: gli interessi. Gli interessi sono, de facto, un premio per la rinuncia alla liquidità, ossia soldi aggiunti che ancora non ci sono e che potrebbero non esserci. Nella higher education americana gli interessi hanno avuto il loro maggior impatto sui prestiti, creando un debito cumulativo di oltre ottocento miliardi di dollari.[6]

Prestiti, interessi e debiti

Prima di avventurarci nel meandro del sistema creditizio universitario statunitense sarebbe utile descrivere velocemente un sistema di prestiti che (più o meno) funziona: quello britannico.

 

A otto anni dall’Higher Education Act del 2004, il governo britannico ha deciso di triplicare il limite massimo delle rette universitarie, portandolo a £9,000. Nonostante le diverse proteste da parte degli studenti, va tenuto in conto che il governo concede prestiti fino a £5,555 (£7,751 per chi studia a Londra), ossia oltre metà della retta annua massima. Il rimborso del prestito avviene gradualmente e non comincia fino a che il richiedente (laureato o meno) avrà a disposizione un reddito annuo di almeno £21,000. È però probabile che in tempi di crisi prolungata, una parte degli studenti possa non essere in grado di ripagare il prestito, poiché impossibilitata a (o incapace di) raggiungere il reddito minimo richiesto.
Ciononostante, il sistema britannico è molto più sostenibile di quello statunitense, descritto qui di seguito.

 

Come già accennato all’inizio dell’articolo, il governo federale di Washington non sostiene direttamente l’educazione superiore, ma lo fa attraverso prestiti e concessioni. Esistono tre tipi di prestito governativi. I “federal direct loans”, prestiti diretti federali, come gli Stafford Loans, che possono essere sovvenzionati (privi di interesse fino al primo pagamento) o meno; i “federal PLUS loans”, diretti ai genitori dello studente; e i Perkins Loans, prestiti a basso interesse per studenti in particolari difficoltà finanziarie. Esistono anche crediti che passano attraverso istituti finanziari privati, a tassi solitamente più alti, ma più facilmente reperibili.
Il governo può anche fare concessioni, attraverso borse di studio (che non devono essere rimborsate) come i Pell Grants e i Federal Supplemental Educational Opportunity Grants (FSEOG), da un minimo di $100 a un massimo di $5,730. Un ammontare, questo, comunque inferiore alla metà della retta universitaria media.

 

Il rimborso del prestito inizia solitamente tra i sei e i nove mesi dopo la graduation. Nel caso dei direct loans, ad esempio, lo studente può scegliere di ripagarlo in quattro modi: in 10 anni con un minimo di $50 al mese, a seconda della mole del prestito; tra i 12 e i 30 anni, con un minimo di $50 al mese (probabilmente a tassi superiori); tra i 12 e i 30 anni, pagato gradualmente (piccole cifre all’inizio e cifre sempre più alte dopo) con una cifra massima di 1.5 volte di quanto lo studente avrebbe pagato sotto il piano decennale; in base al reddito familiare (se dopo 25 anni il debito non è completamente pagato, il resto del debito è estinto).
In caso di impossibilità a ripagare il debito (eccetto il caso appena menzionato), lo studente può: essere portato a giudizio, il che comporta spese aggiuntive per pagarsi l’avvocato; essere costretto a ripagare il debito (garnishing wages); vedersi il proprio credit score[7] abbassato; diventare ineleggibile per ulteriori aiuti finanziari negli studi.

 

Con le nuove leggi, infatti, dichiarare bancarotta è molto più difficile. Negli anni passati i prestiti erano senza collaterale (garanzia), e l’accesso al credito risultava troppo facile, rendendo imprudenti i richiedenti denaro, e portando a gonfiare la bolla dei prestiti universitari. Oggi uno studente, per dichiarare bancarotta, deve soddisfare tre criteri: se costretto a ripagare, deve dimostrare di non essere in grado di mantenere uno standard di vita minimo (nel 2013 la soglia di povertà per un individuo sotto i 65 anni senza figli a carico era di $12,119[8]); ci deve essere l’evidenza che le difficoltà economiche dell’individuo possono continuare per un periodo di tempo significativo; lo studente deve aver fatto tutto il possibile bona fide per ripagare il debito prima di dichiarare bancarotta.

 

Nel corso degli anni, il Congresso ha più volte tentato di alleggerire il fardello dei costi attraverso aiuti federali sotto forma di nuovi grants o prestiti federali,[9] espansioni di credito e limitazioni sul rimborso[10] e deduzioni fiscali.[11]
Come mostra il grafico 9, negli ultimi venti anni i tassi di interessi hanno subito diverse variazioni, con un massimo di 8.19% del 2000-01 e un minimo di 3.37% nel 2004-05. Tra il 2007 e il 2012 i tassi di interesse sovvenzionati e quelli non sovvenzionati hanno preso strade diverse, con i secondi fissati a 6.8% e i primi lasciati variare a seconda dell’andamento economico.[12]

 

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Grafico 9 – Variazione tassi di interesse sugli Stafford Loans, 1992-2013 (fonte: newamerica.net)

 

Il motivo per cui si siano abbassati i tassi di interesse sovvenzionati nel 2007 e perché si siano alzati nel 2012 è paradossalmente lo stesso: alleggerire il carico da far pagare agli studenti. È tuttavia lecito chiedersi perché. Certamente un tasso di interesse variabile che parte dal 4% è sicuramente meglio di uno fisso al 6.8%. Ma in realtà, poiché 4% è, appunto, il tasso di partenza, nulla esclude che questo possa salire anche al di sopra del 6.8%, rendendolo svantaggioso nei confronti della seconda opzione. In altre parole, usare tassi variabili significa mettere il peso del costo ex-post sul borrower, mentre usare tassi fissi significa metterlo ex-ante sul lender.

 

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Grafico 10 – Andamento del tasso di inflazione medio annuale e del tasso di interesse dei prestiti universitari federali, 1992-2012 (fonte: inflationdata.com e newamerica.net)

 

La ratio dietro la scelta dei policy-makers di lasciare fluttuare il tasso di interesse sui prestiti per renderlo più idoneo ad adattarsi al tasso di inflazione, come dimostra il grafico 10, non sembra del tutto errata, specie in virtù di una differenza di oltre il 3% nel 2007, cioè appena prima della crisi finanziaria.
Perché, allora ritornare al 6.8%? Non è troppo alto? In realtà, sarebbe sbagliato credere che 6.8% sia un tasso eccessivo. Chi lo paragona al tasso di interesse di un mutuo trentennale, fisso al 4.1%,[13] sbaglia per due ragioni. Sbaglia innanzitutto perché le perdite derivanti da un default nel caso del mutuo sono ammortizzate dal valore reale della casa – mentre non si può assegnare un valore tangibile a un certificato di laurea. In secondo luogo, sbaglia perché al contrario di un bene immobile, il cui valore può fluttuare, il valore di una laurea non può cambiare proprio in virtù di quanto appena detto.[14]

 

Va inoltre notato che, al contrario delle rette universitarie, i tassi di interesse sui prestiti hanno seguito in buona parte l’andamento economico, calando in tempi di crisi (a causa della stretta creditizia che li caratterizza) e alzandosi in tempi più prosperi.
Conseguentemente, anche la quantità di prestiti contratti ha seguito un andamento concordante, aumentando in tempi di crisi, quando la liquidità e i tassi di interessi erano minori, e arrivando a 10,264,000 borrowers per un totale di $87,998 ($92,475) milioni nel 2010-11, come riportato dalla tabella qui sotto.

 

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Tabella 1 – Numero dei borrowers (in migliaia) e ammontare medio preso in prestito attraverso i programmi federali, 1997-203 (fonte: U.S. Department of Education, Office of Postsecondary Education, National Student Loan Data System)

 

Il potere del Presidente

Dopo aver analizzato gli aspetti più prettamente economici e quantitativi, è d’uopo tentare di vederne i risvolti politici. Come già sottolineato più volte, il governo federale non sovvenziona direttamente la higher education. L’obiettivo inziale di questo saggio era di cercare una correlazione tra gli intenti e le dichiarazioni presidenziali, e l’andamento degli indici dell’educazione, quali il numero di iscritti, il costo delle rette, la legislazione sui prestiti e gli interessi e le conseguenze sul debito. Ciò aveva l’obiettivo secondario di “misurare” l’influenza del Presidente e la sua capacità di dettare l’agenda al Congresso nel campo dell’educazione.

 

Il potere del Presidente è notoriamente limitato e giace soprattutto nella sua possibilità di porre il veto su una particolare legge. A prima vista parrebbe quindi assurdo porsi un obiettivo del genere, sapendo che porterà a un punto morto; in realtà, la scarsa influenza dei Presidenti è dovuta soprattutto al loro altrettanto scarso impegno nel campo dell’educazione superiore. Un breve resoconto degli ultimi quattro Presidenti ne spiegherà perché.[15]
George H. W. Bush non si è mai veramente occupato dell’andamento universitario. In quegli anni gli USA erano indisputabilmente ai primi posti nel mondo e il loro sistema educativo era invidiato da tutti. Ciononostante, non può passare inosservato che durante la campagna elettorale del 1988 Bush Sr. avesse dichiarato di voler diventare “the education President”, finendo, tuttavia, il mandato con scarsi risultati.

 

Neanche il suo successore, Bill Clinton, spese moltissime parole sui bisogni universitari, concentrandosi, invece, sul K-12. Questo nonostante avesse dichiarato che l’educazione fosse “the best possible investment in people”. Ovviamente appare logico che la volontà, la motivazione e la determinazione a educarsi deve nascere anzitutto nei bambini. L’educazione è un investimento nel lunghissimo periodo, che trascende il ciclo di vita dell’individuo e va a congiungersi con la capacità innovativa della nazione. Investire nell’educazione significa investire nel futuro. Eppure neanche con Clinton la higher education seppe prendere una svolta decisiva. Forse il suo merito (o la sua fortuna) è stato quello di evitare crisi inflazionistiche e ingrandire la bolla dell’educazione superiore, evitando impennate nel costo delle rette universitarie, come mostrato dai grafici 2 e 4. Tutto questo, ovviamente, a scapito di tassi di interesse sui prestiti ancora piuttosto alti.

 

Con George W. Bush cominciano le prime forti espansioni di credito, anche a causa dello scoppio della bolla del dotcom e i primi aumenti sostanziosi alle borse di studio, sia in termini di ammontare sia in termini di numero di concessioni. Eppure entrambe le operazioni sono un segno del cattivo piuttosto che del buon andamento del sistema educativo. Come ha evidenziato il suo avversario democratico John Kerry, nella campagna per le presidenziali del 2004, l’aumento dei Pell Grants è dovuto non al merito, ma alla maggiore quantità di persone che possono richiederlo per mancanza di denaro, sottolineando di fatto il cattivo andamento dell’economia.
Alla fine, anche Bush Jr., come il padre, è più ricordato per i maggiori sforzi sull’educazione inferiore, con il famoso, ma discusso “No child left behind”, mirato a standardizzare il livello di insegnamento nelle scuole elementari e secondarie inferori e superiori.

 

Negli ultimi venticinque anni, Obama è il Presidente che ha speso più parole nella lotta all’educazione accessibile a tutti. Dalla sua promessa di pagare le rette universitarie di coloro che si sarebbero impegnati a diventare insegnanti, alle sue dichiarazioni sui lavori del futuro che passano necessariamente dall’esperienza universitaria, il Presidente sembra avere a cuore l’educazione superiore dei giovani statunitensi più dei suoi predecessori.
Il motto della sua prima campagna elettorale, Yes we can! ha portato a votare milioni di persone che prima non erano interessate. Ma può forse essere replicato nel campo dell’educazione? Effettivamente, come notato prima, nel 2009 ci fu un grande balzo nel numero degli iscritti. Eppure la carica di Obama, per quanto carismatica, non può essere sufficiente a giustificare un aumento di oltre un milione. Né è possibile pensare che questa si sia esaurita subito.

 

È molto più realistica la spiegazione già data dell’esistenza di un moltiplicatore che faccia guardare i giovani al settore educativo in tempi di crisi e difficoltà nel trovare un lavoro.
In termini di sostenibilità del debito studentesco, il programma “pay as you earn”, combinato con l’estinzione dei debiti dopo i 25 anni, è certamente il più ottimale. Non elimina il problema alla radice, ma pagare solo il 10% del proprio reddito mensile lascia più flessibilità anche per chi ha entrate minori.

 

In conclusione, si vede che, nonostante fortune alterne, nessuno dei quattro Presidenti è riuscito davvero a cambiare il sistema dell’educazione superiore negli Stati Uniti. Le promesse della campagna elettorale difficilmente si tramutano in realtà. Quando una legge passa per il Congresso (specialmente quando la sua maggioranza è del partito opposto a quello del Presidente) viene ammazzata e resuscitata in una veste non poco differente da quella proposta all’inizio. Il lobbying nell’educazione non ha ancora abbastanza incentivi per fare leva sui congressmen, né la situazione cambierà fino a quando questi continueranno a vedere incentivi esclusivamente nel breve periodo. Forse solo allora, il potere del Presidente conterà qualcosa per gli studenti.

 

Conclusione

In questo saggio si è andati ad analizzare l’andamento dei redditi mediani e delle rette universitarie medie degli ultimi venticinque anni. Li si è messi a confronto, notando una forte discrepanza tra i due, con le seconde cresciute molto più velocemente dei primi. Questo comportamento è stato chiamato bolla inflazionistica dell’alta educazione e ha diverse radici, tra le quali ci sono la facilità di accesso al credito, la mancanza di protezione verso il consumatore (lo studente) e l’intangibilità prima del valore della laurea.

 

Si è poi tentato di disegnare una relazione tra gli indicatori economici come il CPI, e gli indicatori economico-educativi come le rette universitarie e il tasso di interesse sui prestiti universitari. Si è anche tentato di collegare l’andamento dell’economia (redditi familiari, disoccupazione giovanile) con l’andamento delle iscrizioni, delle rette e degli interessi sui prestiti, scoprendo che esiste una sorta di moltiplicatore che porta gli studenti a guardare al settore educativo in mancanza di sbocchi lavorativi.
Quest’ultimo punto è interessante, in quanto una relazione del genere si riscontra in maniera meno marcata nei paesi europei. Più in generale, si può ipotizzare che laddove gli ammortizzatori sociali sono più presenti e lo Stato ha un ruolo ufficiale di sostegno all’educazione superiore, i giovani siano meno propensi a guardare all’università come ultimo appiglio.[16]

 

In terzo luogo, si è tentato di valorizzare il potere del Presidente nel campo dell’educazione, senza però trovare un indice che confermi che le sue prese di posizione, le sue dichiarazioni e le sue iniziative presenti nella piattaforma elettorale abbiano effettivamente trascinato il settore.

 

Ecco perché è importante che il sistema educativo americano guardi a se stesso, con attenzione e in profondità; che guardi a lungo, in un futuro per niente prossimo; che guardi ai figli e ai figli dei figli e chieda per loro un futuro migliore. Perché se è vero che i lavori di domani hanno bisogno non di un pezzo di carta, ma dell’esperienza umana e intellettuale che il college fornisce agli studenti, allora è necessario preservare e modernizzare al contempo questo pezzo di vita e guardare a nuove strade. Pensare di cambiare da così a così, da un giorno all’altro o da un Presidente al successivo è pura follia. Lo si farà passo per passo, e un primo passo può essere quello di rendere i college meno responsivi alla ricchezza.[17]

 


[1] “In 2010, graduates who took out loans left college owing an average of more than $26,000.” (http://www.whitehouse.gov/issues/education/higher-education)
[2] Tutti i numeri sul reddito familiare sono tratti da uno studio della Fed di St. Louis. (http://research.stlouisfed.org/fred2/series/MEHOINUSA672N)
[3] Tutti i prezzi tra parentesi sono costanti, ossia tengono conto dell’inflazione e sono basati sul valore monetario del 2012. Al di fuori delle parentesi sono espressi i valori in prezzi correnti, relativi all’anno in esame.
[4] Per semplicità di analisi, così come per differenza nel costo della vita, non vengono calcolati il costo del vitto e dell’alloggio nel campus. Inoltre, il tipo di università preso in esame è quello quadriennale, sia pubblico che privato. Tutte le cifre relative alle rette universitarie sono disponibili sul Digest of Education Statistics (Per semplicità di analisi, così come per differenza nel costo della vita, non vengono calcolati il costo del vitto e dell’alloggio nel campus. Inoltre, il tipo di università preso in esame è quello quadriennale, sia pubblico che privato. Tutte le cifre relative alle rette universitarie sono disponibili sul Digest of Education Statistics (http://nces.ed.gov/programs/digest/d12/tables/dt12_381.asp).
[5] Clark, D. (2011). Do Recessions Keep Students in School? The Impact of Youth Unemployment on Enrolment in Post-compulsory Education in England. Economica, [online] 78(311), pp.523-545. Available at: http://dx.doi.org/10.1111/j.1468-0335.2009.00824.x [Accessed 3 Sep. 2014].
[6] http://www.newyorkfed.org/research/national_economy/householdcredit/DistrictReport_Q32011.pdf
[7] In Italia non esiste qualcosa di direttamente comparabile. Il credit score di uno statunitense può essere visto come quello che le agenzie di rating quali S&P e Moody’s danno agli Stati. Esiste, tuttavia, un’agenzia privata, il Crif, che si occupa di risk management per imprese, banche e altre persone giuridiche tramite l’uso di enormi archivi informatici (http://www.crif.it/Chi-siamo/Pages/Il-tuo-partner-globale.aspx).
[8] https://www.census.gov/hhes/www/poverty/data/threshld/
[9] http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2007/09/27/AR2007092700958.html e https://www.govtrack.us/congress/bills/110/hr2669/text
[10] Il cosiddetto “pay as you earn” dell’amministrazione Obama. “The Administration’s “Pay as You Earn” plan expands income-based repayment to enable 1.6 million students to take advantage of a new option to cap repayment of student loans at 10 percent of monthly income” (http://www.whitehouse.gov/issues/education/higher-education).
[11] Fino a $2,500 o l’ammontare dell’interesse pagato (http://www.irs.gov/taxtopics/tc456.html)
[12] In mancanza di fondi sufficienti a sostenere il numero di richiedenti di entrambi i tipi di prestito, solo i prestiti sovvenzionati sono stati soggetti a tasso variabile.
[13] http://research.stlouisfed.org/fred2/series/MORTGAGE30US/
[14] Almeno non direttamente. Il valore della laurea è collegato, tra i tanti fattori, nel mondo del lavoro, alla domanda di specialisti in quel particolare settore.
[15] Tutte le dichiarazioni e le prese di posizioni descritte qui di seguito sono state prese da ontheissues.org
[16] Nell’UE il rapporto tra disoccupazione e iscrizione universitaria non è evidente come negli Stati Uniti. Gran parte degli Stati Membri, infatti, sostiene direttamente l’educazione superiore e i costi universitari sono nettamente inferiori rispetto a quelli statunitensi.I dati sulla disoccupazione e l’iscrizione universitaria sono disponibili su Eurostat (bit.ly/1tyRqcc per la disoccupazione; bit.ly/YhWMLZ per il numero di iscritti complessivo, e bit.ly/1qC9C10 per i nuovi iscritti). Si noti come gran parte dei paesi UE non segua il trend americano.
[17] In particolare, si veda il recente articolo su crookedtimber.org (http://crookedtimber.org/2014/09/03/universities-are-highly-responsive-to-very-rich-people/)