Il 27 novembre ha mosso i primi passi l’Italian Post-Keynesian Network (IPKN). La rete di ricercatori nasce con l’intento di colmare un gap comunicativo ed organizzativo nell’area del pensiero economico post-keynesiano, che conta numerosi esponenti in tutta Italia ma manca di un’ infrastruttura di comunicazione (soprattutto se confrontata con la potenza mediatica del pensiero mainstream). Questa mancanza è percepita anche in altre aree della galassia eterodossa italiana, alla quale la rete vorrebbe rivolgersi per coinvolgere tutte le scuole di pensiero in un dibattito più articolato e pluralista.

Nel corso dell’apertura dell’incontro, condotta dai ricercatori Claudia Fontanari (Università degli studi di Roma 3) ed Eugenio Caverzasi (Università degli studi dell’Insubria), si è sottolineato come la ricerca di una crescente pluralità di approcci teorici sia la motivazione alla base dell’IPKN, oltre ad essere una condizione fondamentale per la vitalità della ricerca e del dibattito scientifico. Il secondo fine della rete è quello di contrastare la condizione di precarietà ed isolamento in cui versano molti ricercatori ed economisti dell’area eterodossa. La questione è stata ripresa dal professor Engelbert Stockhammer del Kings College London, senior member della Post-Keynesian Economics Society (PKES), che ha sottolineato come le crisi dell’ultimo decennio abbiano reso la vita difficile a chi si affaccia alla carriera accademica da una prospettiva post-keynesiana o comunque non mainstream, vista la combinazione di tagli alla ricerca e mancate riforme dei criteri di valutazione in ambito accademico. Il periodo storico che stiamo vivendo, però, -ha premesso Stockhammer- è anche molto interessante per il pensiero economico post-keynesiano, vista la riscoperta di elementi propri di questa scuola perfino da parte di vari economisti mainstream, dopo che l’approccio neoclassico ha mostrato i suoi limiti di fronte alle criticitò del nostro tempo.

Non bisogna poi dimenticare che la risposta europea alla crisi pandemica sembra il preludio un cambio di paradigma rispetto al passato, con un maggior peso acquisito dall’intervento pubblico che si aggiunge una linea di politica monetaria già “non convenzionale” dal 2012. Non è un caso che, dopo gli interventi di vari ricercatori, buona parte della tavola rotonda moderata da Marco Veronese Passarella della Leeds University si sia concentrata sulla domanda “Siamo diventati tutti post-keynesiani?”. Nella discussione con i professori Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Annamaria Simonazzi (Universitò La Sapienza) ed Andrea Terzi (Franklin University Switzerland) è emerso come la risposta a tale domanda sia sostanzialmente “no”, pur prendendo atto dell’importanza della nuova linea “pragmatica” della BCE e della sospensione dell’impianto regolatorio di Maastricht.

Non siamo diventati tutti post-keynesiani perché il post-covid farà riemergere gli interessi politici accantonati dalla pandemia, in un contesto in cui i piccoli capitali e la classe lavoratrice soffrono ancora uno svantaggio in termini di rappresentanza politica nelle istituzioni europee e nazionali. Non siamo diventati tutti post-keynesiani perchè, come sottolineato da Brancaccio, anche le voci più interessanti del panorama mainstream come quella di Blanchard continuano a mantenere un approccio teorico sostanzialmente neoclassico anche di fronte allo shock pandemico, pur inglobando sempre più elementi e metodologie della teorie alternative. Siamo quindi in una fase in cui ancora il post-keynesianesimo, ed in genere il pensiero economico critico verso il mainstream, deve lottare per affermare la sua stessa esistenza.

La Rete Italiana Post-Keynesiana, sulla scia della PKES, proporrà workshop, seminari di approfondimento, gruppi di studio, presentazioni di libri, mentre nel lungo periodo si penserà anche a summer schools e sviluppare relazioni internazionali. Il primo appuntamento sarà venerdì 11 dicembre per la presentazione del libro “Heterodox Challenges In Economics” insieme all’autore Sergio Cesaratto.