“E pur si muove”, è la frase comunemente attribuita all’astronomo Galileo Galilei, pronunciata all’uscita dal Tribunale dell’Inquisizione del Sant’Uffizio, al termine dell’abiura delle sue teorie. A muoversi, nel 1633, è ovviamente la Terra, come già previsto dalla teoria copernicana, che il padre della scienza moderna aveva tentato di verificare sperimentalmente, difendendola nel suo Trattato Dialogo sopra i due massimi sistemi del Mondo. Ad oggi, se non in similare contesto inquisitorio, in un prevalente clima di disincanto, a muoversi è invece l’International Student Initiative for Pluralism in Economics (ISIPE), che, come ogni corpo in movimento (sia esso in rotazione o in rivoluzione), ha già innescato un travolgente dibattito sui titoli della stampa internazionale. Il primo critico responso lo si ha da John Kay, economista britannico e visiting professor della London School of Economics, a cui il Financial Times (FT) ogni settimana assicura una colonna per il proprio editoriale. Il Prof. Kay esordisce con una nota, decisamente poco lusinghiera, sulle volontà di questi studenti “dissidenti”, rivolta a sottolineare come “la provvisorietà” d’intenti sia una componente “inerente” nella loro vita. Questi ultimi, secondo il professore, sono, infatti, soliti transire dall’essere inizialmente “ingenui” e “arrabbiati” nella propria protesta, al “lasciare alle spalle le proprie rimostranze” una volta “incassato il primo stipendio”. Commento, questo, decisamente infelice, e di nessuna utilità ai fini di una corretta analisi dell’iniziativa. Sebbene a questo iniziale giudizio alterni il proprio sostegno “alla domanda per un maggior pluralismo nel curriculum economico”, e per un istante prenda le parti degli studenti, in un’opposizione alla dominanza metodologica di un’analisi fortemente astratta, rifugiandosi nell’ennesimo inno al pragmatismo, Kay dimostra di aver mal interpretato, o almeno compreso solo in parte, il punto in questione. Punto che il Prof. Allen J. Scott, Distinguished Research Professor al Dipartimento di Geografia dell’Università della California, sembra invece aver colto in pieno. Scott, in un articolo di risposta pubblicato sul FT, critica fortemente la possibilità, avanzata da Kay, che “una sufficiente dose di pragmatismo” possa rappresentare un vessillo di salvezza per “la scienza economia dalle dominanti astrazioni matematizzate della sintesi mainstream […] e dalle traballanti alternative eterodosse, con le loro presunte distorsioni ideologiche”, attribuendogli una “grezza comprensione” della componente epistemologica dell’economia. In un contesto in cui “tutte le forme di conoscenza economica […] sono pervase da un contenuto ideologico” l’idea che “il buon vecchio pragmatismo britannico” sia essenzialmente tutto ciò che è necessario per “pulire l’aria” è, secondo Scott, “pura fantasia”. È dallo spunto del professore che si capisce quale sia l’unica soluzione. Dal momento che il raggiungimento di un insegnamento privo della propria componente ideologica sembra oltremodo lontano, quello che con tanta dedizione i sostenitore dell’ISIPE (meno “ingenuamente” di quanto si possa pensare) stanno cercando di realizzare è la presenza, nelle aule universitarie, di un pluralismo ideologico – o meglio, “teorico”, come lo chiamano gli studenti nel proprio manifesto. Così, ogni studente, vedendosi aperto dinanzi un più vasto orizzonte teorico e metodologico, potrà di modo elevarsi al raggiungimento di una prospettiva d’analisi più completa e più critica e, magari, scorgere da lassù qualche nuova soluzione ai problemi che piagano la società moderna.