Nel mondo moderno, le possibilità e le opportunità della vita di una persona sono influenzate, se non addirittura dominate dagli spropositati livelli di diseguaglianza che lo caratterizzano. Ad esempio, una bambina nata in Norvegia, dove il tasso di mortalità infantile è uno su 250¹, vivrà una vita più lunga e sicuramente più agiata di una sua controparte nata in Sierra Leone, dove lo stesso tasso si aggira intorno al 20%. Il mondo in cui viviamo, seppur sicuramente più ricco di un tempo, è caratterizzato da una coesistenza di enormi ricchezze e fortissime sofferenze, e in cui persiste ancora una sorta di cecità morale.

 

Il pensiero contemporaneo non ha tanto lasciato cadere i valori e le risposte ai quesiti morali, quanto la stessa domanda etica, ritenuta ormai inutile e inefficace. Ha realizzato, pertanto, un nichilismo compiuto, spingendosi fino a un radicalismo negativo di ogni fondamento, a partire dalla filosofia, dall’etica e dalla politica, ma coinvolgendo anche il sapere scientifico (Sparaco, 2010).
Come può la maggior parte di noi riuscire a vivere senza porsi alcun problema, ignorando completamente le diseguaglianze che caratterizzano il nostro mondo? – È il quesito che si pone l’economista indiano Amartya Kumar Sen (Sen, 2002), premio Nobel per l’economia nel 1998. Tra i pensatori più impegnati nella lotta alla povertà e alla diseguaglianza, Sen è fortemente critico nei confronti della concezione dominante dell’economia nel Novecento, che la riduce “a una sola dimensione”, al solo gelido “pensiero calcolante”, alla massimizzazione dell’interesse egoistico del singolo attore, dell’homo oeconomicus razionale. Tutto ciò minimizza l’essere umano (Sen, 2006).
Richiamandosi esplicitamente a Kautilya, filosofo indiano del IV sec. a.C., ma anche alla riflessione occidentale (partendo da Aristotele), Sen rivendica la necessità di mantenere sempre, accanto al pensiero calcolante, il cosiddetto pensiero pensante, metafisico ed etico, capace di cogliere interamente il senso e la direzione dell’agire umano.

 

Nel suo libro On Ethics and Economics (1987), Sen evidenzia come l’utilità individuale non sia l’unica cosa che ha valore nel determinare le scelte delle persone. Se da un lato, infatti, l’utilità non rappresenta adeguatamente il benessere umano (well-being), dall’altro, lo sviluppo non può essere identificato semplicemente con l’aumento del reddito pro-capite. Analfabetismo, diffusione di malattie e mortalità prematura, mancanza di libertà civili e politiche limitano pesantemente la libertà di azione delle persone.

 

Sen pone l’attenzione sul concetto di eguaglianza, partendo da quesiti fondamentali, che in pochi si domandano oggi: Why equality? Equality of what? Non si può, infatti, pretendere di difendere l’eguaglianza (o di criticarla) senza sapere quale sia il suo oggetto, ossia quali siano le caratteristiche da rendere uguali (redditi, ricchezze, opportunità, libertà, diritti, ecc). Interrogarsi sull’uguaglianza dovrebbe significare innanzitutto chiedersi quali siano gli aspetti della vita umana che devono essere resi eguali. La storia della filosofia ci offre una molteplicità di esempi diversi di soluzioni: John Rawls descrive l’eguaglianza come un paniere di beni primari di cui tutti gli individui dovrebbero disporre; gli utilitaristi come eguale considerazione delle preferenze o delle utilità di tutti gli individui. Quale, tra queste, è la soluzione migliore? Sen collega il valore eguaglianza al valore libertà: quest’ultima è da lui connessa ai concetti di “funzionamenti” e “capacità”. Con l’espressione funzionamenti, egli intende “stati di essere e di fare” dotati di buone ragioni per essere scelti e tali da qualificare lo star bene. Esempi di funzionamenti sono l’essere adeguatamente nutriti, l’essere in buona salute, lo sfuggire alla morte prematura, l’essere felici, l’avere rispetto di sé, ecc. Con l’espressione capacità (capabilities), Sen intende invece la possibilità di acquisire funzionamenti di rilievo, ossia la libertà di scegliere fra una serie di vite possibili: “[i] funzionamenti costituiscono lo star bene, le capacità rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star bene”. Per questa ragione, Sen sottopone a critica tutte quelle teorie che fanno della libertà un qualcosa di meramente strumentale, privo di valore intrinseco. Agli occhi di Sen il reddito appare come qualcosa di vago e impreciso, poiché una persona malata e bisognosa di cure è sicuramente in una condizione peggiore di una persona sana avente il suo stesso reddito. La conclusione a cui perviene è che il grado di eguaglianza di una determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di capabilities e di acquisire fondamentali funzionamenti, ossia un’adeguata qualità della vita o well-being generale, non ristretto entro parametri strumentali o economici. Fedele a questa impostazione, Sen è giunto, nei suoi scritti, a tratteggiare una teoria dello sviluppo umano in termini di libertà (development as freedom) ricollegandosi alla tradizione aristotelica dell’eudaimonìa: l’espressione greca “eudaimonìa” non corrisponde affatto alla sua usuale traduzione inglese in happiness (felicità), ma potrebbe essere associata al termine fulfillment, che vuol dire realizzazione completa di sé e che può essere resa con la bella immagine di una “vita fiorente” (flourishing life). L’eudaimonìa come la intende Sen si contrappone non solo al vecchio ideale della Welfare Economics e del suo benessere materiale, ma anche alla formulazione dello stesso Aristotele. Secondo Sen, infatti, l’eudaimonìa deve portare a uno sviluppo pluralistico, per cui “esiste una pluralità di fini e di obiettivi che gli uomini possono perseguire”. L’errore commesso da Aristotele sta nell’aver individuato una “lista” di funzionamenti universalmente valida, trascurando, di fatto, l’individuo stesso. Secondo Sen, invece, essendo tanti i fini e gli obiettivi che ciascun individuo può legittimamente perseguire, anche le capabilities sono, di conseguenza, una pluralità.
In conclusione, c’è, nel mondo in cui viviamo, un abbandonato bisogno di porre domande non solo intorno agli aspetti economici o politici, ma anche (e soprattutto) intorno ai valori e all’etica. Occorre considerare la complementarità esistente tra le differenti istituzioni, quali il mercato, i sistemi democratici, e le opportunità sociali. Istituzioni, queste, alle quali bisognerebbe guardare non come luoghi astratti e naturalmente efficienti, ma come qualcosa di più complesso, che comprende, sì, i dati, ma anche le persone, con le loro vite e la loro etica.

 

Bibliografia:
Clemente Sparaco, Il Nichilismo nostro contemporaneo, Dialgesthai, Rivista telematica di filosofia, anno 12 (2010)

Amartya Sen, Globalizzazione e libertà. Milano, Arnoldo Mondadori, 2002

Amartya Sen, Identità e violenza, traduzione di Fabio Galimberti, Laterza, 2006

 

Note:

¹ UNDP, Human Development Report 2007